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Relegati “fuori dal mondo”

Abbiamo letto le notizie relative al gesto di protesta di alcuni richiedenti l’asilo eritrei, giovanissimi, residenti nella struttura d’accoglienza del Pian di Peccia, i quali hanno lasciato il loro alloggio con l’intenzione di raggiungere, a piedi, il fondovalle. Conosciamo i richiedenti che risiedono lassù – quarantaquattro uomini, molti di loro giovani, in maggioranza eritrei, ma ci sono anche tamil e iracheni – perché siamo andati da loro allo scopo di conoscerli e capire se ci fosse o meno la necessità e la possibilità di portare qualche aiuto.

A partire dallo scorso ottobre abbiamo visitato regolarmente alcune strutture di accoglienza (oltre al Pian di Peccia, anche Bosco Gurin, Croglio, Gordevio e Brontallo) e portato vestiti, scarpe, giochi di società, vocabolari, articoli per l’igiene. Siamo volontarie, non apparteniamo a nessuna associazione, abbiamo a cuore la questione migratoria e riteniamo che la Svizzera debba mettere in pratica il diritto all’accoglienza dei profughi. In breve, vi vogliamo raccontare la nostra esperienza.

La prima volta Lara è andata a Peccia, con suo marito, portando dei vestiti. Poi è ritornata lassù con la mamma di Martina. In seguito anche Martina si è recata, a più riprese, fino al Pian di Peccia.

Il viaggio, per chi viene dal Luganese e dal Bellinzonese, è piuttosto lungo. La località è davvero “fuori dal mondo”, molto isolata. I richiedenti pensano che rimarranno lassù per breve tempo, invece il loro soggiorno durerà molti mesi. Gli alloggi si trovano in due case, le camerate hanno molti letti, lo spazio comune – all’interno – è ridottissimo. Arrivati alla fine dell’estate, gli ospiti della struttura avevano vestiti leggeri, scarpe in cattivo stato, e soprattutto nulla con cui passare il tempo. Ogni volta che siamo state lassù, abbiamo portato dei vestiti caldi, delle scarpe, pantaloni, mutande, calzini e tutto ciò che può servire per garantire almeno un cambio per ogni persona. Si tratta di cose usate che ci sono state generosamente donate da molti ticinesi di buon cuore, articoli puliti e senza strappi o buchi che abbiamo provveduto a selezionare con cura, tenendo conto delle taglie di quegli uomini. Abbiamo portato anche tre sacchi di giochi di società, per passare il tempo.

Al Pian di Peccia ci sono quarantaquattro uomini – tra cui giovani uomini e ragazzi – che hanno energia e voglia di lavorare e che sono in inerte attesa di una risposta alla loro richiesta d’asilo. Quella risposta arriverà tra alcuni mesi, o anni. Per oltre due terzi di loro si tratterà probabilmente di un rifiuto. Intanto vivono un’esistenza sospesa, senza poter fare nulla, se non aspettare.

Ahmet, Omar e come si chiamano, nel loro paese erano elettricisti, barbieri, falegnami, medici, insegnanti, studenti, contadini. Ciascuno di loro ha una storia particolare che vorrebbe poter raccontare. Se solo ci fosse qualcuno che la vuol sentire. Non c’è motivo di ritenerli un pericolo, o una minaccia. Sono delle persone, in fuga. Molti di loro soffrono per il fatto di essere relegati in un luogo discosto, in montagna, dove nemmeno la maggior parte di noi vorrebbe dover trascorrere senza poter fare nulla un lungo periodo, fatto di attesa e incertezza sul proprio destino. Persone che si dimostrano grate – lo abbiamo sperimentato e continuiamo a sperimentarlo – per ogni gesto di accoglienza da parte nostra. Persone come noi, che apprezzano un sorriso, una stretta di mano, una parola che li possa confortare nella situazione precaria in cui si trovano.

Lara Robbiani Tognina

Martina Malacrida Nembrini

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